Corporate governance e struttura proprietaria dell’impresa

L’analisi della struttura proprietaria di un’impresa come strumento di Corporate Governance si articola in due aspetti:

1) La composizione della struttura proprietaria, che attiene all’identità dei detentori di quote di capitale dell’impresa (management, soggetti pubblici o privati, imprese finanziarie o non finanziarie, azionista 
individuale o investitori istituzionali).

2) La concentrazione dei diritti proprietari, che riguarda la quantità di azioni detenute da ciascun azionista. Una struttura proprietaria si definisce concentrata quando la compagine azionaria dell’impresa è composta da azionisti che detengono quote rilevanti di capitale.

 La composizione e il grado di concentrazione della struttura proprietaria si sovrappongono nei meccanismi di esercizio del governo societario e, in alcuni casi, influiscono in modo contrastante sulla creazione di valore. Nelle imprese, raramente assistiamo ad una separazione netta tra proprietà e controllo. È frequente, infatti, il caso in cui i titolari del controllo sono anche proprietari di una quota significativa di azioni dell’impresa o, viceversa, il caso in cui i proprietari di un numero rilevante di azioni, in virtù della loro posizione azionaria, esercitano un ruolo importante nella gestione dell’impresa. È ragionevole presumere che la presenza del management nella compagine societaria, producendo una maggiore coincidenza tra proprietà e controllo, conduce ad un migliore allineamento degli interessi dei soggetti titolari della gestione con quelli degli azionisti il che riduce i conflitti di interesse e si traduce, in ultima analisi, in un valore d’impresa più alto.


D’altra parte, però, una concentrazione dei diritti di proprietà nelle mani del management può produrre pericolosi effetti di autoreferenza che pongono i dirigenti in una posizione di privilegio che gli permette di perseguire i propri interessi personali senza più la minaccia di essere rimpiazzati. Come sottolinea Holderness (2003) una struttura proprietaria concentrata potrebbe indurre i detentori di quote rilevanti di capitali ad esercitare il loro potere di voto per depauperare risorse o per godere di benefici che non vengono condivisi con gli azionisti di minoranza. Tali benefici possono essere sia monetari, quali sono i livelli di remunerazione sproporzionati di cui può godere l’azionista-manager o le sinergie di cui beneficia l’impresa titolare di una partecipazione di controllo, e non monetari, come la visibilità di cui gode chi controlla società sportive o giornali. Un’impresa caratterizzata da una proprietà diffusa, tuttavia, potrebbe realizzare performance più basse. La presenza di molti azionisti che detengono quote poco significative di capitale (modello della public company) riduce, infatti, l’incentivo per il singolo azionista ad intraprendere azioni in grado di influenzare le decisioni prese dai soggetti titolari della gestione e a spendere risorse per monitorare i comportamenti del management. La concentrazione dei diritti di proprietà spinge invece gli azionisti ad esercitare un maggior controllo sulla gestione che si traduce in un grado di efficienza più elevato e quindi in un aumento del valore totale d’impresa.

 FONTE: Tesi di Laurea di P. Fabozzi, "Corporate governance e creazione di valore: analisi empirica sulle società quotate"

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